L'iniziazione spirituale attraverso il rito della decapitazione

 

di Elio Occhipinti

 

 

L’immagine simbolica o l’atto rituale della decapitazione ricorre in quasi tutte la tradizioni spirituali sia orientali sia occidentali, questo porta a fare una prima riflessione e cioè che dietro questa immagine è presente un pensiero simbolico che sfugge alla storicità e ad un preciso spazio geografico.

Una seconda riflessione è data dalla necessità di tale opera, che deve essere compiuta nella fase iniziale del percorso di ricerca spirituale e ulteriormente ripetuta, cosa questa che ci dice quanto grande sia la difficoltà di ottenere una effettiva ed efficace separazione della testa dal resto del corpo.

Ma perché tanta importanza alla testa in un percorso di evoluzione spirituale?

Le mistiche dell’ascensione dell’anima assimilano del tutto naturalmente la testa alla sfera celeste, gli occhi sono le luci e la colonna vertebrale l’asse del mondo. Inoltre, per la sua forma a sfera la testa umana è paragonabile all'universo, ad un piccolo microcosmo sede delle attività superiori dell’intelletto e dello spirito. Queste analogie potrebbero essere già sufficienti di per se stesse a spiegare il perché, nel pensiero immaginario e simbolico, il culto dei crani è la prima manifestazione religiosa dello psichismo umano. Infatti, tagliare la testa di un avversario, oltre ad accertarsi della morte reale, era soprattutto un modo per assimilare a se e al gruppo il suo spirito e il suo valore.

Tralasciamo tutti i possibili significati “comuni” della testa che forniscono un terreno immaginario per giustificare la decapitazione ad esempio come atto di giustizia: la testa è la sede dell’Io, della memoria, dei principi, delle convinzioni, ecc. Rivolgiamoci, invece, a “vedere” l’immagine della decapitazione così come viene splendidamente raffigurata in una delle tavole dello Splendor Solis, tavole che corredano un trattato alchemico tedesco, attribuito a Salomon Trismosin, del 1598.

Qui, l’artista, personificato dal cavaliere, dopo aver separato le quattro membra dal busto, taglia la testa (di color oro) e la sostiene mettendola in mostra, quasi a volerne accentuare l’importanza.

 

In alchimia  un tema ricorrente è lo sbarazzarsi delle parti eterogenee, qual è il senso di quest’azione e da cosa bisogna separare queste parti eterogenee?

Iniziamo ipotizzando che l’Opera Alchemica possa essere distinta in due percorsi separati (distinzione che tuttavia potrebbe anche essere falsa): nel primo la materia dell’opera siamo noi stessi e ogni procedura va riferita ad un’azione sullo psichismo, nel secondo la materia è un metallo e le operazioni, di tipo metallurgico, si svolgono all'interno di un crogiolo.  

Se le operazioni sono psichiche, la pratica consiste nell'eliminare tutto ciò che non è se stessi, o che interferisce con le facoltà superiori della coscienza; le scorie in questo caso sono le passioni, gli attaccamenti, le inclinazioni e quelle costellazioni irrazionali che sono tenacemente radicate nella parte in ombra della coscienza. La testa allora è la sede di quel'’insieme di autoconoscenze che definiamo Io  e “rompere la testa” o “perdere la testa” divengono sinonimi di abbandono di quelle conoscenze limitate e sostenute dalla razionalità che ci impediscono di passare ad un altro stato di consapevolezza. 

In alchimia operativa, invece, si fa continuo riferimento ad un “capo morto” (caput mortuum), a ciò che dovrebbe essere già separato, come in effetti succede in metallurgia, lo scarto dei processi di fusione e di separazione è infatti un prodotto del tutto inutile che viene rigettato. Così, mentre in metallurgia si cerca con diversi e vari processi di purificazione di ottenere un metallo il più possibile puro, in alchimia ciò che appare bello perfetto e ben amalgamato viene rigettato e si lavora invece sulle fecce di questa operazione. 

Gli alchimisti spiegano questa folle scelta sostenendo che un metallo al suo più alto livello di purificazione non è più soggetto ad alcun cambiamento ed evoluzione;  perfetto nella sua cristallizazione, ha raggiunto ciò che la Natura aveva predisposto.

L’alchimista aspira ad operare sulle forze primigenie, su quei fuochi primordiali, inesauribili che la Natura usa per animare ed individuare ogni cosa: la materia prima di ogni manifestazione. Solo in questo modo è possibile creare una materia nuova, un ricettacolo in grado di corporificare lo Spirito Universale, si tratta della pietra filosofale. 

Questo è il motivo per il quale in alchimia viene data grande importanza alle ceneri, alle fecce, alla terrestrità, al caput mortuum che rimane come residuo quando si opera la separazione. Si afferma che in essi è il vero Oro e l’”energia del tutto”, perché questi portano le tracce o memorie, o segnature dello stato di essere. 

 

Ricordando che in alchimia il metodo analogico è l’unico mezzo, la sola risorsa, della quale l'ermetista dispone per la soluzione dei segreti naturali, concludo questa breve disamina della decapitazione, con un antico e famoso detto: "Se volete conoscere la saggezza conoscete a fondo voi stessi e la conoscerete".